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The Repetto show

I nostri fans più accaniti sanno perfettamente quanto appletini.it sia legato al grandissimo Mauro Repetto e alla sua accattivante storia: be’, nei giorni scorsi ci ha regalato questa intervista nella quale si svela e torna sulla sua vicenda umana, sul suo peregrinare in giro per il mondo e sul fatto di non aver mai fatto Pippo o Pluto a Eurodisney (non che gli sia andata molto meglio, in realtà). Idolo!

Mauro Repetto, l’altra metà degli 883

Per la prima volta si racconta dopo i successi con Max Pezzali

FEDERICO TADDIA

Non ero più capace di condurre quella macchina, andava troppo veloce e in circuiti troppo difficili: Max mi aveva anche offerto il volante, ma ho avuto l’onestà di riconoscere di non avere abbastanza talento, e ho preferito così uscire di scena». Verrebbe da rispondergli canticchiando «Come mai», ma ti spiazza la sua serenità e il fatto che non c’è neppure un velo di rimpianto nella voce di Mauro Repetto, “il biondino degli 883”, che dopo 18 anni da quando decise di mollare all’apice del successo l’amico e socio Max Pezzali, racconta per la prima volta la sua storia, iniziata in una cantina di Pavia e approdata, per ora, all’ombra della Torre Eiffel.

«Ho preferito tacere in tutto questo tempo perché da quel pomeriggio del 1994 in cui dissi a Max che il giorno dopo sarei partito per Miami, non avevo mai più avuto l’occasione di chiacchierare con lui. Ci eravamo solo sfiorati durante un suo concerto a Milano. Poco prima di Natale invece, quasi per caso, ci siamo incontrati a Parigi, con le nostre famiglie: è stato un momento magico, in un istante ci siamo ritrovati gli amici che eravamo, con la stessa sintonia, la stessa voglia di condividere passioni, lo stesso piacere di confrontarci su quello che ci piace e ci fa stare bene: è bastato uno sguardo per cancellare 18 anni di lontananza e ritrovare il feeling di sempre. Max sapeva che me ne ero andato perché avevo bisogno di riposare, e quando un bambino dorme non lo si disturba: il non cercarmi in tutti questi anni è stata una fortissima forma di rispetto nei miei confronti e gli va tutta la mia gratitudine».

Il sodalizio tra i due nasce sui banchi della terza liceo nella seconda metà degli Anni 80, e si cementifica nei pomeriggi trascorsi insieme nella noiosa routine di provincia. La musica è il pallino comune, e nel 1987 l’acquisto di una “Drum machine” porta la coppia a sperimentarsi con la musica elettronica. Si cimentano nel rap, e cercano di far ascoltare un loro pezzo a Lorenzo Jovanotti che già spopolava a Radio Deejay. Ma nelle mani di Claudio Cecchetto arriva anche una musicassetta con il pezzo “Non me la menare”. E’ il ‘91 quando si presentano a Castrocaro; nel ‘92 arriva il clamoroso successo di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, bissato nel ‘94 dall’album “Nord sud ovest est”. Ed e lì che “l’883 che balla e basta” stacca la spina.

«Era tutto troppo veloce per me; avevo bisogno di fare tabula rasa, e tutte le persone che mi erano vicine lo hanno compreso e accettato. Sono partito per Miami: volevo cercare la mia strada oltre oceano, volevo trovare una macchina che fossi in grado di guidare da solo. Ho frequentato la New York Film Academy, ho anche provato a realizzare un film e a produrre un disco negli States. Ma sono rientrato in Italia con le bobine sotto le ascelle, e la consapevolezza che bisognava darsi una calmata».

Tornato a casa con i genitori, Mauro si iscrive all’Università e si laurea in Lettere. La madre, impiegata all’Ufficio provinciale del lavoro, gli segnala proposte di lavoro pescate qua e là. Una di queste riguarda “Disneyland Paris”. «Le metropoli mi hanno sempre sedotto come una bella ragazza, e così ho scelto Parigi. Ho inviato il curriculum e fatto le selezioni, senza svelare la mia vera identità: nel ‘99 vengo assunto come animatore nel parco, e con un abito western addosso mi piazzano a fare il cow boy. Sì, mi dispiace deludere chi ha messo in giro la voce che fossi a ballare dentro alla maschera di Pippo o Pluto, ero solo un semplice cow boy».

Dopo quattro mesi il fato bussa alla porta di Repetto: al direttore del parco, che aveva studiato a Pavia, quel nome ricorda qualcuno e, facendo un veloce due più due, riconosce l’ex 883. Gli chiede perché passa le giornate vestito da sceriffo, quando le sue competenze potrebbero essere sfruttate meglio. «Da quell’incontro entro nella parte organizzativa di Disneyland e divento produttore di Special events, un ruolo di responsabilità che mi permette di mettere insieme la mia parte creativa e quella più manageriale». Nel frattempo si sposa con una ragazza francese, e nascono due bambini, a cui la nonna insegna a fischiettare “Hanno ucciso l’uomo ragno”: per dirsi totalmente felice manca però ancora qualcosa, ed è forse l’eco degli anni passati sui palchi che si fa risentire. «Sentivo il bisogno di mettermi in gioco, di usare il mio corpo e la mia voce per narrare storie capaci di far piangere, far ridere e far pensare: ed è nato così “The Personal coach”, uno spettacolo completamente autoprodotto e senza promozione che non conta più 20/30 spettatori ogni sera, ma che mi sta dando tante soddisfazioni».

In programma al Théâtre Essaïon, teatro del circuito underground parigino, l’ex biondino ha ancora una capigliatura da far schiattare d’invidia l’amico Max, e si mostra in splendida forma in questo surreale monologo dove si immagina delle fantomatiche elezioni, da Marilyn Monroe a Jim Morrison, passando per Napoleone, Al Capone e l’attore porno John Holmes. «Cerco di trasmettere il limite dei politici attuali: è tutto troppo complesso e non basta più dare domande generiche. Bisogna dare risposte precise e problemi specifici: la figura tradizionale del politico è sorpassata. C’è bisogno di persone più preparate e più vicine alla gente e alla realtà, come dei personal trainer. Tema di stretti attualità, visto che oggi si vota in Francia: io posso votare solo per le amministrative, ma camminando per strada sento la vibrazione di un forte desiderio di cambiamento».

(fonte: lastampa.it)

Piccolo manuale per indecisi in pizzeria

Il nostro amico e lettore Gian possiede un gatto di nome Iris; l’hanno chiamato così perché è stato trovato nei paraggi di un hotel che si chiama, per l’appunto, Iris. La considerazione è semplice: seguendo questo principio, se l’avesse trovato nei paraggi della Bella Napoli sarebbe stata una bella inculata. Questo per introdurre l’argomento della giornata: la pizza. Noi italiani con la pizza siamo un po’ come con il caffè: all’estero è semplicemente “pizza”; da noi invece si possono ammirare ordinazioni di codesta risma:

“Allora, allora, allora… mi fai un calzone con prosciutto, funghi… anzi, no, cioè, sì, funghi sì ma solo i finferli, che i porcini mi restano un po’ pesanti e poi dormo male. Poi, poi, poi, poi… ah, be’, sicuramente le melanzane sott’olio, funghetti e qualche cappero, però non troppi – diciamo un numero compreso tra cinque e otto – perché mi fanno aria nell’intestino. Che altro? Ah, cazzo, il crudo!”
“Ehm, signore, è sicuro di volerci il crudo? Ci ha già messo il cotto!”
“Ah. Ma a me il cotto fa cagare! No, no, no: crudo, crudo. A fine cottura, mi raccomando.”
“Scusi se la interrompo nuovamente, signore, però ha ordinato un calzone, ed il calzone in genere tende ad essere… chiuso, diciamo. Quindi non saprei come inserire il crudo a fine cottura, ecco.”
“Avete un bisturi?”
“Ehm… no. Veramente no.”
“Nessun problema! Ne ho uno da viaggio nel borsello. Fate un’incisione sulla parete laterale destra del calzone: è sufficiente un taglio di 2,5 centimetri di lunghezza. Inserite il crudo dalla fessura e suturate con della mozzarella di bufala. Che sia molto fresca, la mozzarella, mi raccomando, altrimenti mi fa un po’ di reflusso la notte.”
“D’ accordo. Ehm, ho paura a chiederglielo, ma… altro?”
“No, direi che va bene così. Anzi, no, aspetti: i capperi!”
“Li ha già inseriti, signore: in numero compreso tra cinque e otto, se non sbaglio.”
“Sì, ma intendo dire: sono di Pantelleria, i capperi che avete qui?”
“Credo… credo di no, signore.”
“Ah. Allora solo una birretta, grazie.”

Ecco, una roba del genere. Scusate, mi sono perso in questa accattivante conversazione. In realtà tutto quello che avete appena letto era semplicemente un preambolo a ciò che vogliamo presentarvi oggi: il generatore di ordini improbabili in pizzeria! Non c’è molto da dire: provatelo e basta. Se poi avete abbastanza coraggio, potrete pure provare ad ordinare una delle pizze che verranno generate, la prossima volta che vi capiterà di essere in pizzeria!

Potete provare il generatore di ordini improbabili QUI

 

La festa della *onna

Non sono mai stato uno a cui piace festeggiare quando c’è da festeggiare, non so se mi spiego. Sono uno di quelli che mangia volentieri il pandoro solamente a Gennaio inoltrato e che a San Valentino non ha in casa nulla la cui forma possa ricordare anche solo vagamente quella di un cuore. Nemmeno il mio cuore ha la forma di un cuore. Cioè, ce l’aveva prima che passassi tu. Ora è più un ellissoide, direi: un ellissoide con qualche imperfezione. Avresti dovuto pensarci, prima di giocarci a bowling: ho fatto una fatica, a rimetterlo al suo posto. Non è facile sistemare una cosa a forma di ellissoide in un buco a forma di cuore. Però, come si suol dire quando si va a trovare un’amica esausta dopo il parto, non è facile nemmeno far passare una testa grossa come un melone attraverso un buco grande come un limone. Per cui, insomma, qualcosa farò: una limatina, magari. Con una lima si possono risolvere molti problemi, nella vita. Non te li risolve come potrebbe farlo una fionda, ma funziona.

Insomma, quello che volevo dire è che nonostante non sia uno che festeggia a comando, oggi vorrei fare un’eccezione e fare un augurio gigantesco alla mia nonna. Ha ottantacinque anni ed è bellissima, cucina una pizza alta come una torta paradiso e quando ti svela una delle sue ricette non te la dice mai esattamente com’è, perché i suoi segreti se li vuole portare nella tomba. E mia mamma dice che si lamenta sempre per un sacco di dolori ma mai una volta che si lamenti quando ci sono io. E so che una volta, prima di morire, le piacerebbe sentirmi suonare la chitarra, ma io mi vergogno a farlo e lei si vergogna a chiederlo e alla fine restiamo lì a guardarci in silenzio e va bene lo stesso, e poi alla fine faccio finta di addormentarmi sul divano e a lei piace perché le ricorda quando da piccolo dormivo lì, il Sabato sera, e sorride.

E così, in questo giorno, vorrei fare gli auguri a lei, l’unica persona che possa festeggiare oggi: auguri. Buona festa della nonna.

“Ehm… QuandoSiFaBuio, oggi veramente sarebbe la festa della Donna… donna, con la D.”

“Festa della donna? E che si festeggia di preciso?”

“Beh, le loro conquiste sociali e politiche e le donne che sono morte per i loro diritti”.

“Le conquiste sociali e politiche? E le festeggiano vestendosi da zoccole per andare a vedere dei culi maschili depilati?”

“Già.”

“Cazzo, questa la devo raccontare a mia nonna.”

 

Quando muore uno famoso

Quando muore uno famoso non è come quando muoiono gli altri. Non è una morte qualunque se tocca a un cantante, uno scrittore, un poeta, un attore, o altro.  A patto che ti abbia dato qualcosa, certo: un sussulto, un sorriso, un pianto. Quando muore qualcuno che ti ha regalato delle emozioni, qualcuno che con le sue parole è riuscito ad incarnare perfettamente il tuo pensiero quasi fossi tu – anzi, in quelle parole eri tu – è diverso. Esiste una cosa, una cosa incredibile che mi ha sempre disarmato: il momento preciso e indimenticabile in cui il pensiero si incarna in parola ed unisce  persone che nemmeno si conoscono, che nemmeno si sono mai viste ma che sono vive, e pensano, e piangono, e ridono, ed uno dei misteri della natura umana è quando ti ritrovi a pensare come diavolo è possibile che quella persona che nemmeno conosco riesca con poche parole ad incarnare con precisione imbarazzante quello che provo e che io stesso non saprei come spiegare agli altri? La delusione, la rabbia, la tristezza o la gioia che sono tue, ma non trovi modo migliore per esprimerle che utilizzare le sue parole. Questa è la magia. E allora no, quando muore uno così non è come quando muoiono gli altri.

E io più di una volta mi sono ritrovato ad esorcizzare le mie frustrazioni con le medesime parole di quest’uomo.

 

Ciao, Germano.

(Germano Mosconi, San Bonifacio, 11 Novembre 1932 –  Verona, 1 Marzo 2012)
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=HxLITGnKwNU]

Tu chiamale, se vuoi, riflessioni

Non mi sono mai piaciuti i blog nei quali la gente racconta i fatti propri: sarà che non ho la tendenza a parlare di me, forse, e di conseguenza non ho interesse a leggere nemmeno ciò che gli altri scrivono di loro stessi: in fondo nemmeno li conosco. A meno che – e questo fa la differenza – non lo si faccia con stile: se la figura di merda che avete rimediato in Posta diventa un aneddoto divertente, il vostro nuovo amore si traduce in una poesia degna di tal nome e il vostro piede rotto è occasione per scrivere un accattivante articolo sulle condizioni della sanità nazionale, allora mi interessa. D’altra parte il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose, diceva Wittgenstein. Ma se mi venite a raccontare che ieri avete fatto un giro al parco e basta, ecco, non mi interessa. Lo so, cosa state pensando: ok, l’introduzione l’hai fatta: quando arrivano le cazzate? La verità è che non so se ci saranno cazzate, in questo post: sto improvvisando. Diciamo che sto giocando con la vostra attenzione. Il fatto che questo blog abbia delle rubriche a cadenza più o meno setitmanale mi consente di dargli una parvenza di organizzazione, di aggiornarlo quasi tutti i giorni e di pararmi il culo quando non sono in vena di scrivere. Ma a volte può diventare terribilmente noioso,e quindi oggi ci metto un po’ di tutto. Un po’ di me, forse. Ma non alla maniera che ho appena dichiarato di odiare, ovviamente. O almeno ci provo.

Ad esempio potrei parlare del nuovo disco dei Farmer Sea, che sto ascoltando ed apprezzando da qualche giorno. Potrei scriverne una recensione come in altri blog viene fatto, anche dai non addetti ai lavori. Ma non recensirò un disco che con tutta probabilità non avete ancora sentito e che forse non andrete a cercarvi dopo aver letto il mio modesto parere a riguardo: vi tendo la mano e ve lo faccio direttamente ascoltare.

(dal sito ufficiale: www.farmersea.it)

Che altro? Ah, sto (ri)leggendo la biografia di Stephen King, che è pure un manuale di scrittura, ed alcuni passaggi risultano essere particolarmente interessanti. Questo, ad esempio:

Se una persona in totale padronanza delle sue facoltà mentali è in grado di scopare come se fosse fuori di testa – arriva addirittura ad andarci, fuori di testa, nel fuoco di quella passione – perché gli scrittori non dovrebbero essere capaci di sbiellare rimanendo sani di mente?
Bello, no?
E poi… ah, sì, uno delle poche controindicazioni dell’essere sprovvisti di un compagno/a di vita è la spesa: le porzioni per i single non sono quasi per nulla contemplate nel nostro Paese:

“Salve, vorrei una bistecca.”  “Guardi, se prende la confezione da dodici chili risparmia il trenta per cento.” “E che diavolo dovrei farmene di dodici chili di roba? Vivo da solo!” “Beh, la metta in freezer!”

Avete intenzione di andare a vivere da soli? Date retta a me, non fate il mio stesso errore: fatevi costruire una stanza freezer all’interno della casa, di almeno venti metri quadrati. Al limite potrete sempre recuperare le spese affittandola a Rocky Balboa per allenarsi. E poi guardatevi la parodia di Rocky di Rémi Gaillard. E poi comprate questa figata:

Il vaso da balcone che diventa griglia per single


Vivere in città, specialmente in condominio, significa non avere abbastanza spazio per tutto quello che si vorrebbe, barbecue incluso. Mettere una griglia in balcone significa non avere più spazio per le piante e, spesso, neanche per muoversi. La combinazione tra vaso per piante e griglia proposta da Erbe, però, è davvero molto interessante, per quanto strana.
La parte alta è un normale vaso da balcone in cui potete far crescere le vostre piantine aromatiche. Quando la alzate, la parte sotto diventa una mini griglia in ceramica termo isolata, con una superficie di cottura di diametro pari a 29 cm: giusta per una bistecca media. Un’idea geniale, non c’è che dire. Peccato che costi un po’ tanto per essere una griglia da single: 124 dollari (circa 100 euro).

(fonte: gizmodo.it)

Ieri sera, mentre facevo due passi, ho trovato un portafogli e un cellulare per terra. Ho scorso la rubrica fino alla voce “papà”, ho chiamato e mi sono accordato per restituire il tutto. Arrivato dalla tizia in questione, questa mi ringrazia sentitamente, apre il portafogli, verifica che i suoi cento euro non siano stati toccati e mi dice ti devo qualcosa?

Se avessi voluto dei soldi te li avrei fregati dal portafogli forse non è stata la risposta più brillante che potessi dare, in effetti.

Direi che per oggi è tutto: come vedete, all’interno di questo post nato a caso e proseguito in maniera altrettanto casuale mi sono già giocato una delle rubriche settimanali, la nostra lista della spesa. Ma chissenefrega. Chiudo con un altro passaggio del libro di King che si chiude con una citazione che personalmente ritengo fenomenale:

Il problema di ciò che volete dire è fondamentale. Se ne dubitate, pensate a tutte le volte che avete sentito qualcuno affermare: «Non so proprio come descriverlo», oppure: «Non è quello che intendo». Pensate a tutte le volte che voi vi siete espressi, di solito in un tono di lieve o profonda frustrazione. La parola è solo una rappresentazione del significato; anche nel migliore dei casi, la scrittura resta quasi sempre un passo indietro rispetto al pieno significato. Stando così le cose, perché in nome di Dio dovreste peggiorare la situazione scegliendo una parola che è solo cugina di quella che avevate veramente intenzione di usare?
E considerate senz’altro ciò che è più adatto; come ha osservato una volta George Carlin, in certi ambienti va benissimo cazzare la scotta, ma quanto mai inopportuno scottarsi il cazzo.

Dimmi da dove vieni, e ti dirò chi sei

Com’è già accaduto in passato (più d’una volta) proponiamo una selezione di parole chiave digitate nei motori di ricerca che hanno portato nuovi visitatori, curiosi esploratòri della rète, su Appletini.it. Le seguenti ricerche vengono presentate esattamente come riportate dalle statistiche del nostro blog:

  • Camionisti che si inculano
  • Cani supereroi
  • Come battere pinguino
  • Culo e bici
  • E se il prete muore
  • Enjambement spaziale
  • Esploratori anali
  • Facile smettere il cazzo
  • Flatulenze particolarmente odorose
  • Gesu e gli apostoli poker
  • Il culo sopra berlino
  • Immagini deodorante per il naso
  • La cocaina io? mi piace solo l’odore
  • Ninna nanna per fidanzata
  • Parameci desktop
  • Parodie film porno “giochi senza dentiere”
  • Penne google penne ubriake ubriake
  • Per fortuna che silvio c’è
  • Perchè piccioni avanti e indietro testa
  • Pipistrello rompicoglioni
  • Prete cavallo camionista
  • Scoparsi la mamma
  • Spagnola al mio ragazzo
  • Vecchio lottatore gay
  • Verginità maschile filetto
  • Youporn la moglie di mio padre

Vi mostriamo inoltre (per la vostra insaziabile sete di statistiche) una word cloud che rappresenta visivamente i termini di ricerca che hanno portato più visite ad Appletini.it negli ultimi 12 mesi. La dimensione delle singole parole è direttamente proporzionale al numero di visitatori che sono giunti a noi:

Word Cloud Parole Chiave Appletini.itSi noti come al primo posto vi sia la parola “Cavallo” (eh sì, la maggior parte delle persone che è giunta su Appletini.it nell’ultimo anno attraverso Google &company ci ha trovati cercando la parola “cavallo”!), al secondo posto abbiamo “prete” e al terzo “amplesso”.

Cosa significha tutto ciò? Ma soprattutto, qual è la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto?

Ai posteri l’ardua sentenza…

Angolo letterario: il libro che mi ha cambiato la vita

Il buongiorno, lo sappiamo tutti, si vede dal mattino: beh, quest’anno, la mattina del primo giorno di Gennaio, mi sono alzato dal letto e ho scoperto di avere finito il caffè. “Bell’anno di merda” ho immediatamente pensato. Pochi giorni dopo, neanche a farlo apposta, ho picchiato il ginocchio contro lo spigolo del comodino e mi sono fatto clamorosamente male. Da quel giorno tutto è andato a catafascio: le donne hanno smesso di cercarmi perché non volevano uscire con uno zoppo e, conseguentemente, imparare a zoppicare; gli amici hanno smesso di chiamarmi per le partite di calcetto; mia madre mi ha liquidato con un “io non ho più un figlio” e in banca non mi facevano più entrare per via della stampella che faceva suonare il metal detector.

Il giorno in cui ho toccato il fondo è stato quando stavo cercando una cassa libera al supermercato e l’ho addocchiata da lontano: io ero di fronte alla cassa 1; quella libera era la 15. Nello stesso istante, con la coda dell’occhio ho notato una vecchietta vicino alla numero 30: aveva avuto esattamente la mia stessa intuizione, nello stesso istante. Io mi trovavo di fronte alla 1, lei alla 30: obiettivo, la 15. Stessa distanza. Una ragazza ci nota, si mette a metà strada e si improvvisa starter, dandoci il via. Partiamo. Io comincio a claudicare il più velocemente possibile verso la cassa libera lanciando epiteti poco simpatici alla vecchia di merda, ma lei claudica più veloce di me e mi lancia addosso i denti, mancandomi di poco. La dentiera tocca terra ed esplode a meno di mezzo metro dalla mia gamba destra. Allora m’incazzo: “Gli anziani non servono a un cazzo!”, urlo a squarciagola: “Frescheeefrsafi!!” risponde la vecchietta, che in mancanza della dentiera switcha improvvisamente l’idioma di riferimento da “italiano” ad “aramaico antico”. Repentinamente, poi, sposta il peso sul lato sinistro del suo carrello compiendo una virata di novanta gradi, fa leva sul tacco sinistro della sua scarpa appena tagliandata dallo scarpolino del paese e mi arriva addosso sporgendo verso di me la sua anca in titanio disarticolandomi una spalla, fottendomi al cardiopalma il posto in cassa e urlandomi “Tefta di caffo!” che in aramaico antico deve significare qualcosa del tipo “testa di cazzo”, ma non ne sono sicuro.

Ecco: in quell’istante, quello in cui l’anziana sdentata mi guardava trionfante mentre riceveva dal supermercato un torrone in omaggio per aver vinto la sfida contro il sottoscritto, ho capito che ero davvero ad un passo dal baratro.

“Voglio proprio vedere come lo mangi il torrone senza i denti, troia!” è stata l’unica cosa che sono stato in grado di dire. Lei ha risposto estraendo una grattugia dal suo carrello stracolmo, sorridendo beffarda.

Ma si sa, la vita è piena di sorprese e a volte, proprio quando sei a terra, ti lancia una corda e ti permette di provare a risalire. Mentre mi aggiravo cercando un’altra cassa libera, mi sono imbattuto nel reparto libri ed ho scoperto questo:

La vita, o forse Dio, mi stavano parlando attraverso l’immagine e le parole di Paolo Brosio che, dopo aver accumulato esperienze di vita al TG4, a “Domenica in”, a “Stranamore” e all’ “Isola dei famosi” si è ritrovato, come me, ad un passo dal baratro. Se una persona che partecipa per anni a programmi di merda si reca a Medjugorje per riscoprirsi, dove può recarsi uno con problemi al ginocchio? Sempre a Medjugorje, suggerirebbe Brosio. Ma io ho cercato risposte su Yahoo Answers, ed ho scoperto che c’è gente che si sposta da ogni parte d’italia sino a Negrar (VR), per farsi curare da tale dott.Zorzi, un professionista della madonna che si vocifera sia l’ortopedico del papa. Ora: se anche il papa quando ha problemi alle ginocchia va dal dott.Zorzi, io perché cazzo dovrei andare a Medjugorje? Vado pure io a Negrar (VR), dal dott.Zorzi!

E così ho fatto: oggi sono una persona diversa, felice. E ho scritto un libro.

 

Il resoconto del Venerdì: quanto spazio occupano i pensieri?

Siamo a Venerdì e io non ho molto da dire. Cioè, in realtà è tutta la settimana che non ho molto da dire: a questo punto potrei semplicemente starmene zitto senza mettermi a fare la parte di quello che butta giù quattro righe banali giusto per il fatto che il blog va aggiornato ogni giorno (cosa che, peraltro, nessuno ci obbliga a fare). Non che io non abbia idea di cosa scrivere: ne ho mille, di cose, in testa. Ma occorrono tempo e voglia per dare una forma a tutti questi pensieri. E alllora la domanda è: se uno ha troppe idee rispetto al tempo che ha per metterle opportunamente a fuoco, cosa deve fare? Le risposte possibili sono tante, ma oggi mi limiterò a consegnarvi i miei pensieri così come si affollano nella mia mente, in forma embrionale, anche come promemoria personale. Procediamo:

– Supponiamo che in un paese assurdo e dimenticato da Dio venga approvata la pena di morte. Supponiamo che – per dimenticanza –  non venga fatta una deroga per chi si deve rendere esecutore della pena. Nel momento stesso in cui “il boia” uccide il condannato diventerebbe dunque egli stesso autore di un omicidio e soggetto a pena capitale, perché non è stato deliberato che chi esegue la pena sia autorizzato ad uccidere. Supponiamo che, anche dopo essersi resi conto dell’errore, i rappresentanti della comunità in questione non abbiano la possibilità di cambiare la legge ormai approvata, per motivi burocratici. Chiunque assumesse il ruolo di esecutore della pena dovrebbe essere a sua volta giustiziato da un altro, e così via. La domanda è: una volta messa in moto questa catena di eventi ed eseguite le esecuzioni, l’ultimo sopravvissuto del paese cosa dovrebbe fare? Uccidersi? Scappare? E se dovesse davvero uccidersi con un colpo di pistola, chi ucciderebbe poi la pistola? Forse una bomba? E chi ucciderebbe la bomba, poi? Forse una bomba più grande? E chi ucciderebbe la bomba più grande, poi? Forse Gesù? E chi ucciderebbe Gesù? Forse Dio? E Dio chi lo ucciderebbe?

La risposta è: Max Pezzali.

– Pensavo che la vita può essere complicata, ma solo perché ce la complichiamo noi. Voglio dire: se fossimo meno idioti sarebbero i trifogli a portare fortuna, senza perdere tempo e diottrie a cercarne uno nato male. Perché il quadrifoglio, per chi non lo sapesse, è un’anomalia del trifoglio bianco (l’anomalia, a mio avviso, non sta tanto nell’avere quattro foglie oppure tre: l’anomalia è nel nome stesso. Perché cazzo bisogna chiamare “trifoglio bianco” una roba tutta verde?) La vita è complicata perché le cose che portano fortuna devono sempre essere quelle rare. E la cosa peggiore è questa: l’abbiamo deciso noi.

– Penso sia bello e giusto inseguire i propri sogni e realizzarli. Magari realizzare ciò che si sognava di diventare da bambini: il massimo della poesia. Ma che cazzo ce ne faremmo di un paio di miliardi di astronauti? (io tra l’altro non sarei uno di quelli: da piccolo volevo fare il camionista);

– Non so se vi capita mai di pensare a come sono nate alcune cose: a me succede di continuo. Mi spiego meglio: immaginatevi la scena. Agenzia pubblicitaria, riunione importantissima. Un grosso, grosso cliente ha commissionato un lavoro, e c’è da pensare  a uno spot. Qualcosa di brilllante, qualcosa all’altezza delle aspettative. Ne scaturisce il più classico dei brainstorming: ognuno spara ciò che gli viene in mente in attesa dell’idea vincente.

– Potremmo ambientare il tutto al Polo Nord e far passare il messaggio che il ghiaccio del polo si è formato grazie al prodotto in questione…

– Uhm: non male, ma banalotto. Magari potremmo buttarla sull’animazione: dei ghiaccioli che muoiono dal caldo e scappano dai bambini che li vogliono mangiare, rifugiandosi a casa del cliente che ha acquistato il prodotto in questione e di conseguenza ha una casa freschissima.

– Carino: però non è un prodotto per bambini, non andremmo a colpire il target adeguato.

– Sì, però non sottovalutiamo il potere dei bambini sui genitori. Se lo spot diventa “di culto” per i bambini, è ragionevole pensare che abbia una ricaduta anche sugli adulti.

Ad un certo punto compare sulla porta l’unico ritardatario della riunione, visibilmente trafelato.

– Ehy! Ma che fine hai fatto? C’è in ballo il lavoro più importante che ci sia stato commissionato negli ultimi mesi e tu arrivi con mezz’ora di ritardo?

– Scusate, scusate, avete ragione ma… ragazzi, ho un’idea. Ho l’idea vincente, cazzo.

– …?

– Sentite questa: fa caldo, molto caldo. L’indiano Orso Grigio arriva, vede il prodotto, gli piace, fa dei segnali di fumo agli altri indiani, gli altri rispondono: inquadratura sulla sua mano che indica i segnali di fumo che stanno arrivando in risposta, poi lui incrocia le braccia soddisfatto e dice: TUTTI VOLERE PINGUINO DELONGHI!!

-…

-…

– Ma è…

-…

-…ma è GENIALE, cazzo!

 

L’ultimo pensiero è questo: ho un taccuino sul quale segno le cose che mi vengono in mente perché poi, già lo so, me le dimentico. Solo che a volte non sono abbastanza dettagliato e così, nonostante mi sia appuntato qualcosa, quando lo rileggo tempo dopo non riesco comunque a ricordarne il senso, il contesto o l’utilizzo che ne avrei voluto fare. Ad esempio (leggo direttamente dal taccuino):

Satana ha una convenzione con i dentisti;

Sono giorni che mi scervello per cercare di ricordare il perché mi sia venuto da pensare che il diavolo sia convenzionato con il sistema odontoiatrico nazionale, ma proprio non mi viene.

–  È come lasciar cadere una goccia di detersivo in un oceano di olio e pretendere che gli scogli si sgrassino

Sono sempre stato un amante delle similitudini ma il come, dove, quando e perché io abbia pensato ‘sta cosa non me lo ricordo proprio.

Lo Zippo di Taribo West

Lo Zippo è un famoso modello di accendino; Taribo West invece era un eccentrico giocatore di calcio, dal discutibile look. Ma perché qualcuno avrebbe dovuto mettere in commercio uno Zippo con l’effige di un mediocre calciatore? E soprattutto: perché qualcuno avrebbe dovuto comprarlo?

Chiudo con questa, alla quale non mi sento di aggiungere nulla:

Arbre magique alla pasta e fagioli

Buon fine settimana.

The power of rock

Essendo Giovedì non possiamo che intravedere il fine settimana e conseguentemente caricarci di nuove energie da spendere pessimamente durante il weekend. Come in molti altri ambiti della nostra esistenza, la musica qui gioca un ruolo fondamentale: la capacità che le canzoni hanno di trasmetterci energia a volte è addirittura preoccupante, soprattutto se sono accompagnate da un video potente, squassante.Come in questo caso:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=wrw6QX4Atx0]

Il metal, del resto, è energia pura:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=tnAYWWayhZ8]

E quando il video, oltre a sprizzare energia, è anche tecnicamente di qualità, il cerchio si chiude:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=NaV_tTuhQbc]

Un’altra cosa da non sottovalutare è che il livello tecnico dei giovani, rispetto a quando lo ero io e andavo in giro senza saper suonare, si è elevato considerevolmente:

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=ym82oDyfXbk]

Concludendo: uno dei pezzi che a me ha sempre dato una carica in più è sempre stato “Smells like teen spirit”

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=sg4wdkj56AA]

 

Ora vi sentite carichi per affrontare il weekend?

T.V.U.M.D.B.

Scommetto che non ci credevate così sensibili da dedicare il post odierno a San Valentino. In effetti non lo siamo: la questione è che non bisogna essere sensibili. Bisogna essere semplicemente dei tordi.

E quello lo siamo, perdio: è fuori discussione. Ma sappiamo esserlo a modo nostro, e questo è l’appletini-pensiero sulla faccenda “San valentino” e tutto quel tran tran di fiori, cioccolatini con frasi molto fiche, telefonate molto romantiche, cene obbligate e sesso programmato che puntualmente ci dobbiamo sorbire. Fatene buon uso.

 

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