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Autore: admin_samu

Cerchi da chiudere

Avrei potuto lasciare il blog così com’era, con un ultimo post datato maggio 2015, e basta: quasi tutti i blog abbandonati sono così, del resto. Forse perché ti dici: “Magari tra un mese, un anno, o domani, mi viene voglia di scriverci qualcosa”, ma in fondo lo sai che non lo farai. E poi perché non è solo un blog, ogni tanto incontro ancora qualcuno che mi dice: “Oh, giusto l’altro giorno parlavamo delle feste di appletini”. Insomma, mi dispiaceva. Così ho pensato di buttar giù qualche riga, giusto per chiudere il cerchio e ringraziare tutti. Non che ci sia molto da dire, a parte che è stata una figata assoluta: ci sono aneddoti che racconterò fino alla morte (tipo quello dei due tizi che si sono presentati al toga party con una settimana di anticipo, o quello dell’eroe che è stato ritrovato vestito da Batman – sporco di vomito – nel parcheggio del convento il mattino dopo una festa, da dei tizi che andavano a messa; oppure potrei parlarvi di un CdA di appletini che si è tenuto a casa mia e che resterà per sempre nella nostra memoria, ma soprattutto in quella del mio vicino di casa. E potrei continuare molto, molto a lungo). Personalmente, devo anche dire che le cose che ancora oggi faccio e che sono in qualche modo legate alla scrittura non esisterebbero, se non avessi cominciato a scrivere qui. Non voglio farla né troppo sentimentale né troppo lunga: come dicevo, mi sarebbe dispiaciuto lasciare questa cosa incompiuta. E poi dovevo ringraziare davvero tutti perché, come abbiamo sempre detto, appletini è ammòre. Come ha scritto il grande Cormac McCarthy: “La gente si preparava sempre al domani. A me sembrava assurdo. Il domani non si stava certo preparando per loro. Non sapeva neppure che esistessero”.
Noi abbiamo fatto tutto senza pensare a quando sarebbe finito: ce la siamo goduta e basta. È un modo come un altro per essere felici, no?
È stata una figata, gente!

L'appletini team al termine della prima appletini night, 2008
L’appletini team al termine della prima appletini night, 2008
L'appletini team poco prima dell'appletini night Toga!Toga!Toga! Party, 2010
L’appletini team poco prima dell’appletini night Toga!Toga!Toga! Party, 2010

 

L’album della gioia

Non so voi, ma io mi sento controllato: va bene, posso capire che le pubblicità sul web siano mirate, però qui si esagera. Oggi mi sono messo a pensare – ho detto pensare, non digitare su google – al fatto che è passato molto tempo dall’ultima volta che quei simpaticoni di Mediaset Premium mi hanno contattato telefonicamente per propormi uno dei loro accattivanti pacchetti-inculata: forse perché in quell’occasione ho risposto fingendo di essere una pizzeria d’asporto e poi ho cercato di rifilare una prosciutto e funghi alla tizia del call center. Mi spiace, devo limitare i farinacei, mi ha detto lei; c’ho l’impasto di kamut, ho risposto io, ma ha riattaccato.
Insomma, mi metto a pensarci e squilla il telefono. È Mediaset Premium. Non è la prima volta che mi capita: la settimana scorsa stavo pensando agli anni d’oro del grande Real e mi è arrivato un sms di Max Pezzali. C’è qualcosa che non va, insomma: devo stare attento a ciò che penso. Però ieri mi sono imbattuto nell’album di figurine di Papa Francesco e non ho potuto non sussurrare, tra me e me: “Ma chi cazzo se la compra ‘sta roba?”
E il mio telefono ha squillato di nuovo. Ero certo che fosse Dio, dopo tutto quello che gli ho fatto, così ho risposto pensando: mi metto subito sulla difensiva. Gli rinfaccio qualcosa fingendo che non sia importante, così si sentirà in difetto.

“Pronto?”

“Sì, ehm… ciao, Dio. Scusa, al momento sono un po’ indaffarato: sto cercando i miei capelli, sai che mi sono caduti tutti? Cioè, non c’ho più un cazzo, qua sopra. Eppure ho una foto di quando avevo quattordici anni e ti giuro che c’erano. Tu ne sai niente?”

Ma non era Dio: era il Papa. Così ho cercato di spiegargli che non ho nulla contro di lui ma che l’album di figurine mi sembrava un po’ esagerato, e poi: sono quattrocento figurine, zio can. Lo sa che c’è gente che muore di fame? E lui che fa? Il divo sugli album di figurine? Suvvia. Comunque è uno simpatico: quando gli ho chiesto il senso della vita mi ha risposto efficacemente e senza utilizzare la parola “tette”, il che è semplicemente magistrale. Poi gli ho chiesto di passarmi Dio: lui ha cincischiato, si è fatto promettere che mi piglio l’album di figurine, ma alla fine ha ceduto. Avete mai pensato di poter dire una cosa, una soltanto, a Dio? Insomma, non è mica facile. Devi prendere tutto quello schifo che hai dentro e sintetizzarlo in una parola, una frase, un gesto soltanto: sbagli quella parola, quella frase, o quel gesto, e hai perso l’occasione.
Peraltro, la faccenda si è complicata perché Dio era in riunione e mi ha concesso solo una breve whatsappata.

dio_whatsapp_2Direi che è andata piuttosto bene.

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A me non piacciono molto le persone, e i pochissimi che leggono questo blog da tempo probabilmente l’hanno capito. Pur tuttavia, credo di essere una persona democratica per la maggior parte del tempo che ho a disposizione – poi ci sono le serate in cui bevi diciotto gin tonic e ti ritrovi a fare cose del tipo brucare l’erba dei giardinetti o parlare aramaico antico con un semaforo e sfido chiunque, il mattino dopo, a essere democratico con chi ti rompe i coglioni.
Negli ultimi tempi, però, noto che il mio livello di democrazia sta progressivamente scemando, per due motivi: il primo è che, come faceva giustamente notare Schopenauer, non si discute con chi nega i principi. Ad esempio, puoi dialogare con uno che ha un’idea diversa dalla tua su come andrebbe gestito il fenomeno dell’immigrazione – tanto per utilizzare un argomento gettonato – ma non con uno che ti dice: “Spariamo a vista ai gommoni”, perché sta negando un principio. Non si può, fine. Anche volendo supporre, per assurdo, di non considerare minimamente la questione etico-morale, ti faccio notare che qualsiasi legge, trattato, risoluzione delle Nazioni Unite, ti dice che non si può. Quindi non si può, fine. Il tuo personalissimo punto di vista del cazzo non conta un cazzo, perché tu non conti un cazzo – aspetta, questa la ripeto: non conti un cazzo –  e quando, cacando in bocca alla lingua italiana, aggiungi “Eh, se sarei io al governo farei così”, quello che sto per dirti è: “Perfetto, buttati in politica e diventa padrone del mondo. Così lo potrai fare. Per prima cosa ti candidi alle elezioni comunali, passi tre o quattro anni nel municipio di qualche paesino di merda della bassa bergamasca a discutere animatamente su come risolvere il problema degli stronzi dei cani ai giardinetti – immagino che lo risolverai con una brillante trovata del tipo spariamo agli stronzi e disintegriamoli! -, poi passi alle provinciali, discuti qualche altro anno su come nascondere ai cittadini che l’acqua che bevono è inquinata, il terreno sul quale camminano è inquinato e probabilmente moriranno male solamente per permettere a te e ai tuoi amici di andare a Porto Cervo con lo yacht che ti sei comprato a suon di mazzette – spariamo a tutti quelli che lo scoprono, perdio! – e poi fai il grande salto: vinci le primarie del tuo partito, diventi candidato premier e prendi un botto di voti – sparo a tutti quelli che non mi votano! -, ti presenti al parlamento europeo, sbalordisci tutti con il tuo perfetto inglese – Ai uont to kill oll de negri! – e convinci tutti che sì, bisogna proprio affidare a te il destino del mondo. Poi, già che ci sei, ti fai dei baffetti da stronzo e impari due frasi in tedesco: allora potrai sparare a chi cazzo ti pare ma, fino a quel momento, chiudi quel buco di culo marcio che ti ritrovi al posto della bocca.”
Questo vorrei dirti, ma sono schopenaueriano.

La seconda cosa è che se io dovessi scrivere su questo blog un post nel quale sostengo, pubblicando la foto di un pentolone vuoto, che settecento nigeriani si sono scopati a turno una ragazza bianca, l’hanno messa in quel pentolone e l’hanno costretta a cantare bon bon padrone non mi mettere in pentola l’acqua bolle le patate non sono buone con me, per poi mangiarsela con gusto intonando cori su quanto siano teste di cazzo gli uomini bianchi, porca puttana, ci sarebbe gente che ci crede.  E che condividerebbe la notizia con altri, che la condividerebbero con altri, che la condividerebbero con altri ancora, e nessuno di questi si porrebbe un’unica, semplice, velocissima e fondamentale domanda: ma sarà vero?

L’assioma è incredibilmente semplice (be’, non che mi aspettassi ragionamenti molto complicati, per la verità): secondo me gli immigrati sono una piaga, questa notizia dimostra che gli immigrati sono una piaga, quindi io ho ragione e condivido con tutti la notizia perché più gente possibile deve sapere che io ho ragione e che non si può continuare così e che di questo passo dove andremo a finire e mia nonna ha lavorato tutta la vita e non arriva alla fine del mese. Sarà vero? Boh, intanto dimostra che io ho ragione, quindi va bene.

E l’internet si è riempito di gente che apre siti con notizie inventate, ci mette dei banner pubblicitari e si fa i soldi con i clic di quelli che pensano di aver capito tutto (e nel frattempo perora la sua casa: “È tutta colpa dei negri!”,  “La cura per il cancro esiste da trent’anni, il governo ci vuole morti!”, “Lo sperma è ricco di vitamine!* “): così la foto di un cassonetto pieno di cibo diventa uno scandaloso spreco da parte degli immigrati, il limone è diecimila volte più efficace della chemioterapia, e via dicendo. Allora magari fai notare ai diretti interessati che, fino a prova contraria, la foto di un cassonetto non è altro che la foto di un cassonetto e che non hai mai visto nessuno guarire dal cancro con una media di lemon-soda, ma anche così si fatica a ottenere qualcosa (le risposte in genere cominciano con un “Sì, però…”), e questa roba continua a girare.

Facciamola semplice: prova a pensarla nella vita reale. Un tizio che non conosci ti chiama e ti dice che ti hanno raddoppiato lo stipendio e tu, invece di controllare che sia vero, chiami tua moglie e tutti i tuoi amici e li inviti a cena fuori per festeggiare. Poi qualcuno ti fa notare che è una cazzata e tu, però, non ti imbufalisci con il tizio che te l’ha detta: anzi, dato che in ogni caso era una notizia che collimava con la tua visione del mondo (sono un genio, quindi è giusto che mi raddoppino lo stipendio), continui a farlo sapere a tutti. Domani lo stesso tizio ti telefona di nuovo e te ne racconta un’altra e tu, nonostante la cazzata del giorno prima, gli credi di nuovo senza porti la questione e ti comporti esattamente allo stesso modo.
Ma che cazzo hai nella testa, Salvini?

Poi però ci ho ripensato: è una figata, in effetti. Posso condividere immagini a cazzo e inventarmi quello che voglio. Ecco cosa ho scoperto oggi su tua sorella (e lo trovi solo qui: questo è quello che gli altri siti non ti fanno sapere!)

Tua sorella, travestita da cavallo, si fa scopare da un cavallo.

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Tua sorella non rispetta il codice della strada cc1-car-accident-stupid-fotos3-auto-insurance-quote

 

 

 

 

 

 

 

Tua sorella non mantiene pulito e ordinato il proprio luogo di lavoro.

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…e ora che fai, la chiami?

*La faccenda dello sperma è vera, e quelle sono coppie felici e unite da un legame appicicaticcio e indissolubile.

 

L’uomo che aveva gli occhi sul culo

Una volta stavo aspettando una ragazza: lei sarebbe dovuta arrivare dalla mia sinistra e allora io me ne stavo a cuore immobile con lo sguardo fisso da quel lato della strada, così l’avrei vista svoltare l’angolo e avrei pensato qualcosa del tipo Se le dico quanto è bella poi finisce che non mi crede. Lei avrebbe sorriso venendomi incontro, io avrei fatto lo stesso, e nessuno dei due si sarebbe accorto, in quel momento, che sarebbero stati gli istanti più belli, più di tutto quello che c’è stato dopo.
Sta di fatto che lei, invece, è arrivata da destra: era andata a fare una commissione per sua madre o chi se lo ricorda cosa, e aveva percorso un’altra strada.
Così io me ne stavo con lo sguardo fisso di qua ma lei è arrivata da là e invece di dirmi qualcosa del tipo Ciao se n’è rimasta lì a guardarmi, in silenzio. Io, mica me ne sono accorto. A un certo punto sento un Ehi e mi giro e c’è lei e le dico Cazzo, hai rovinato la parte migliore e lei risponde Cosa? E io Niente, lascia stare.
Tutto questo per dire che a volte certe cose proprio non te le aspetti, come quando il mio amico Martin si è svegliato e ha scoperto di avere gli occhi sul culo, letteralmente. Uno per chiappa. Non che si fossero spostati, eh: erano cresciuti, evidentemente.
Un secondo paio di occhi sul retro, belli grandi.
Quando ci succedono cose strane siamo istintivamente portati a pensare che ci sia una spiegazione logica, e che certamente non siamo i primi ai quali è successa una cosa del genere. C’è troppa gente, al mondo: vuoi che a nessuno mai siano cresciuti degli occhi sulle chiappe? Orsù.
Così Martin se ne andava in giro a chiedere agli amici se questa cosa  potesse effettivamente essere considerata normale e nessuno sapeva bene come rispondergli no senza pronunciare la parola no. Non è mica semplice: se devi dire banana senza dire banana è un conto, ma dire no senza dire no può risultare particolarmente complicato. Le risposte alla domanda di Martin È normale? Erano più o meno queste: Sì, però fatti dare un’occhiata; Sì, però è raro; Sì, però chiudili prima di sederti sul cesso; Sì, però…La verità è che sì, però… significa semplicemente no.
Così ho tentato un’altra strada: cercare di far capire a Martin la differenza tra cosa può essere considerato normale e cosa non può esserlo, con un esempio pratico:
Allora, se vai su youporn e ci trovi il video di una che fa un pompino, quello è normale: se vai su youporn e ci trovi il video di tua mamma che fa un pompino a un grizzly, quello non è normale. Capisci, Martin?
Martin capiva.
C’era poi quella faccenda della miopia: il secondo paio di occhi, dopo essere stati visitati da un incuriosito quanto timoroso oculista, sono risultati essere sprovvisti di alcune diottrie normalmente in dotazione e, data la dimensione degli occhi stessi, non era certo possibile pensare a delle lenti a contatto. Ma come reggere degli occhiali in assenza di orecchie? Prendendole da uno morto e applicandosele alle anche, ovviamente. Ma già che ci siamo, mica le facciamo di bellezza e basta, eh: due orecchie funzionanti. Et voilà, ecco a voi un culo vedente e udente. Poi è stato un attimo dire a Martin di leggersi Pasto nudo di Burroughs, nel quale c’è un uomo che insegna al suo buco del culo a parlare. La letteratura ci aiuta a crescere, e così Martin ha imparato. Insomma, ora c’ha una vera e propria faccia didietro: manca solo il naso, giusto perché avrebbe creato qualche problema con quella faccenda del sedersi.
Invidio Martin ferocemente: ora se ne va in giro con le sue due facce, una davanti e una dietro, decidendo di volta in volta quale lato di sé esporre al proprio interlocutore. Come facciamo tutti, del resto.
Lui, però, è giustificato.

Il singolo di Vasco (se non fosse di Vasco)

Gentili responsabili della major discografica,
il mio nome è Mimmo Cutrullo e di professione faccio il cantante: come hobby sono muratore, dalle sette del mattino alle sei di sera. Vi invio il primo pezzo della mia band, i Tendenzà, formazione che ha già all’attivo parecchie date nella provincia di Pesaro-Urbino e limitrofe.
Il titolo è “Chissà perché”: la potete ascoltare QUI.
Riporto il testo:

“Quando cammino su queste dannate nuvole
Vedo le cose che sfuggono dalla mia mente
Niente dura, niente dura e questo lo sai
Però non ti ci abitui mai
Quando cammino in questa valle di lacrime
Vedo che tutto si deve abbandonare
Niente dura, niente dura e questo lo sai
Però non ti ci abitui mai
Chissà perché? Chissà perché? Chissà perché?
Quando mi sento di dire la “verità” sono confuso, non son sicuro
Quando mi viene in mente che non esiste niente
Solo del fumo, niente di vero.
Niente è vero, niente è vero
E forse lo sai, però tu continuerai
Chissà perché? Chissà perché? Chissà perché?
Quando mi viene in mente che non esiste niente
Solo del fumo niente di vero. Niente dura, niente dura
E questo lo sai però tu non ti arrenderai
Chissà perchè? Chissà perchè? Chissà perchè? Chissà perchè?
Chissà perchè? Chissà perchè? Chissà perchè? Chissà perchè?
Chissà perchè?
Quando mi viene in mente
Che non esiste niente”.

RingraziandoVi anticipatamente per la disponibilità e fiducioso in un Vostro riscontro, Vi porgo i miei più cordialisaluti.

Mimmo Cutrullo, leader dei Tendenzà

“Gentile signor Cutrullo,
ho ascoltato attentamente il pezzo della sua band, cosa che non intendo rifare finché non mi si riproporrà quel noioso problema al cesso. Eppure assumo molte fibre, non capisco. Insomma, è assurdo, no? Il tuo intestino prepara tutto e poi, quando sei lì pronto ad espellere lo stronzo, egli non si presenta all’appello. È come arrivare a cinque metri dal traguardo e finire la benzina, capisce? Ecco, diciamo che è come se voi mi aveste donato la tanica d’emergenza, il carburante necessario ad espellere definitivamente il bimbo marròn. Guardate che è importante espellere il bimbo marròn, soprattutto se in giardino hai l’orto. È molto poetico che la merda diventi un ortaggio, non trova? Cioè, se uno ti dicesse “màgnate la mmerda” uno mica la mangerebbe, no? E invece così sì.
Ma passiamo alla disamina tecnica del testo.
La struttura è piuttosto semplice: ogni strofa parte con un “Quando…”, nella fattispecie:
1) Quando cammino
2) Quando cammino
3) Quando mi sento di
4) Quando mi viene in mente
5) Quando mi viene in mente

Tre idee per cinque ripetizioni: ok che c’è la crisi, però , che cazzo;

Tutte si concludono con “Niente è vero, niente è vero, e questo lo sai, però…”: questa frase viene ripetuta ad ogni strofa. In questo caso,  perlomeno, vi siete degnati di fare la rima. Nello specifico le parole che fanno rima con “sai” sono:

1) Mai
2) Mai
3) Continuerai
4) Arrenderai

Sull’originalità di queste rime mi appello al quinto emendamento.
Ma passiamo a quel capolavoro lirico che è il ritornello: come ben saprete, esso rappresenta il clou dell’intera faccenda, il momento strappamutande, l’apice, ciò attorno al quale ruota tutto l’ambaradan, ed è anche l’attimo in cui si capisce dove il pezzo sta andando a parare. Nel vostro caso il ritornello è composto dalle seguenti parole:

“Chissà perché?”

Fine.
Il tutto ripetuto in totale quindici volte in un pezzo di quattro minuti, cioè, se la matematica mi viene in aiuto, in media una volta ogni sedici secondi. Musicalmente parlando, la struttura di questo ritornello ricorda maledettamente quello di un pezzo di Vasco Rossi dal titolo “Siamo solo noi”. Mi riferisco a questo passaggio, che non so bene come illustrarvi velocemente in forma scritta ma che potete facilmente verificare confrontando i due pezzi:

Siamo solo noooo(taam)ooi… (tam taaaaam)
Chissà perchééé(taam)ééé… (tam taaaaam)

L’idea che sta alla base di questo è che già vedete i vostri ipotetici fan ringhiare al cielo quel “Chissà perché” come se fosse un inno alla vita, o una liberazione dalle catene della stessa, o dalla banalità dei centri commerciali nei quali, è sempre bene ribadirlo, nessuno li obbliga ad andare; tutto questo, e qualunque altra cazzata abbiano in testa. Insomma, l’importante è alzare in alto le braccia e sbattere in faccia al mondo il nulla che li possiede senza, per carità, dover fare alcun tipo di ragionamento a proposito di niente, mai. La verità, o sapete bene, è che questa roba non significa assolutamente un cazzo, ma non funzionerà: voi non siete Vasco Rossi.
Consigliamo dunque a lei e ai Tendenzà di lasciar perdere, a meno che non abbiate in testa di mettere in piedi una ditta di prodotti per cacare oppure di vendere questo pezzo a qualcuno che abbia la possibilità di pubblicare qualsiasi cazzata senza preoccuparsene troppo.
Cordialmente,
il responsabile della major discografica

 

Perché si formano le code

 

Proviamo con una storiella. Siete a passeggio, in centro, il sabato pomeriggio, in mezzo a un sacco di gente. Improvvisamente vedete quattro persone (non di più: quattro) mettersi a correre all’impazzata gridando di terrore. In una frazione di secondo vi trovate a dover decidere tra queste due possibilità: sono quattro pazzi o sono quattro persone che hanno visto qualcosa che voi non avete visto: una casa che sta crollando sulla vostra testa, o un pazzo che impugna un mitra e sta per sparare. Se optate per la prima, continuate la vostra passeggiata scuotendo la testa. Se scegliete la seconda, iniziate a correre e a gridare. Mentre state pensando a tutto questo, altri umani, più veloci di voi, hanno già deciso e stanno già correndo. I quattro sono diventati magari venti. Il vostro cervello lavora, e giustamente inizia a inclinare per la fuga. È sorprendente come in una circostanza simile ciò che fanno in quattro, o in venti, conti più di quello che non fanno gli altri mille. Ma è così. Prima o poi, c’è da giurarlo, vi mettete a strillare e a correre anche voi. Influenzando, a vostra volta, altri umani ancora più irresoluti di voi.
Se, in quel momento, qualcuno vi fermasse e vi chiedesse “Cosa sta succedendo?”, voi, in realtà, non sapreste esattamente cosa rispondere. Probabilmente direste: stanno fuggendo tutti. […] In realtà quelli che stanno fuggendo sono ancora solo venti su mille, e magari non stanno nemmeno fuggendo, stanno solo correndo, o magari sono pazzi, o magari sta solo arrivando il pullman: ma quello che vi ritrovate a dire è: stanno fuggendo tutti. È tutto ciò che potete dire. E ciò che è più importante: mentre state fuggendo.

(A.Baricco, Next, piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà, Feltrinelli, 2002)

 Stai camminando per strada, ok? Cammini, sei felice (che poi, non è nemmeno così vero. Te lo dici, che la felicità è una cosa semplice: una passeggiata in centro, la prima maglia a mezze maniche dell’anno. E lo credi veramente, cioè, lo è davvero, se pensi che lo sia. Poi però arrivi a casa e hai come l’impressione che qualcosa ti stia sfuggendo di mano: hai l’impressione, come dire, che quella non fosse davvero la felicità, che lo sia diventata, se vogliamo metterla così, e provi a mettere questo pensiero in testa al te stesso di dieci anni fa, ti guardi, com’eri dieci anni fa, e ti immagini pensare la felicità è una cosa semplice, una passeggiata in centro, la prima maglietta a mezze maniche della stagione, ti vedi mentre lo dici ai tuoi amici, ai tuoi amici com’erano dieci anni fa,e li immagini perfettamente, l’espressione attonita di chi ha appena sentito una colossale cazzata, guardarsi tra di loro, in silenzio, e poi scoppiare simultaneamente a ridere, ma che cazzo dici? Cose così. Questa parentesi è troppo lunga, ricomincio da capo, però questa cosa ricordatevela, ogni tanto).

Stai camminando per strada, ok? Cammini, sei felice. A un certo punto incontri un amico e questo ti mostra una cosa molto carina, che ne so, un disegno. Allora tu dici wow, che bello questo disegno! E lui ti risponde sì, hai visto che figata? Lo sto mostrando a tutti, è troppo bello. Allora ne fai una copia, perché ti piace proprio e pensi che sarebbe bello se anche tu lo mostrassi a tutti. Ora, siccome esisti solo tu e le cose esistono solo dal momento in cui le vedi tu e smettono di esistere nel momento stesso in cui non le vedi più tu, l’idea che questo amico abbia incontrato altri amici prima di te non ti sfiora, o meglio, non rientra nemmeno nel campo delle ipotesi plausibili. Così ti adoperi per mostrare a tutti quel bellissimo disegno, che mica l’hai fatto tu, ovviamente, però è un po’ come se l’avessi scoperto tu, no? Pensa a quante persone saranno felici di vedere una cosa così bella, e sarà merito tuo. Non è bellissimo tutto questo? Che persona sensibile sei.
Fin qui ci siamo? Ok, ora, ascoltami bene: non esisti solo tu, porca puttana. Quel tuo amico ha già mostrato quel disegno ad altri amici che l’hanno mostrato ad altri amici che l’hanno mostrato ad altri amici ancora, tra cui i tuoi amici, e questo è accaduto mentre tu eri ancora in bagno a cagare appena sveglio, ignaro dell’esistenza di quel disegno. Questo significa, ovviamente, che buona parte degli amici ai quali lo mostrerai l’ha già visto e ha già fatto lo stesso tuo ragionamento copiando quel disegno e mostrandolo ad altri ancora, perché tu sei solo uno spermatozoo gigante, come tutti, siamo tutti e solo degli spermatozoi giganti e quello che fanno gli altri spermatozoi giganti conta anche se tu non lo vedi, conta anche se in quel momento tu sei uno spermatozoo gigante chiuso in bagno a cagare. Quindi, con tutta probabilità, quando riemergerai dalle ceneri del tuo cesso la gente si sarà già ampiamente rotta i coglioni di quel disegno, per quanto bello sia, perché se nel giro di ventiquattro ore ti mostro seicento volte una cosa bella scommetto che ti rompi i coglioni pure tu.

Ho fatto l’esempio di un disegno, ma poteva essere tranquillamente un’altra cosa: sostituendo il termine disegno con video di sconosciuti che si baciano, ad esempio, il risultato non cambia.

Così, tanto per dirne una.

V per vecchia di merda

È stata proprio un’idea del cazzo”, pensò il signor Amado.
Era sempre stato così: si rendeva conto di aver avuto un’idea del cazzo giusto un istante prima di possederne la conferma; gli accadeva da sempre, da quando aveva dieci anni. In quell’occasione prestò dei soldatini a un amico, una domenica, in campeggio sul lago. Si trovava lì con i suoi genitori per il fine settimana. Tutto filò liscio per l’intero pomeriggio finché non si rese conto, intorno alle otto di sera, che era domenica. Ora, se ti trovi in campeggio per il fine settimana, ed è domenica, non devi essere un genio per intuire che quello è anche il giorno in cui te ne devi tornare a casa. Se a poche ore, forse pochi minuti dalla partenza il tuo battaglione Panzer II in pura plastica cinese si trova nelle mani di un amichetto, ebbene, è empiricamente provato che egli farà l’impossibile per fingere di essersi dimenticato di restituirteli prima di salire sull’ auto per tornare a casa a sua volta. Tutto ciò delinea un quadro già di per sé preoccupante: se a tutto ciò aggiungi il fatto di non essere un abituèe di quel campeggio, ciò che ti si para davanti agli occhi è l’immagine del suddetto amichetto che sorride, nel salotto di casa sua, attorniato dal tuo battaglione Panzer II, brindando con del latte al cioccolato alla vittoria sul nemico e alla memoria di quel fesso del vecchio generale che è caduto nella trappola antica, semplice e per certi versi commovente del prestito temporaneo.
Aveva sette anni, il traditore.
Questo pensiero riempì giusto il tempo necessario alla madre di Amado per azzerare la distanza che lo separava da lui e proferire le seguenti parole:”Mi ha detto il tuo amichetto di salutarti: stanno partendo. Cioè, ormai saranno già partiti.”
Pochissimi privilegiati possono dichiarare di ricordare con esattezza quando hanno pensato per la prima volta nella propria vita “Che figlio di puttana”: il signor Amado è tra questi. La sua composta reazione consistette nel chiedere alla madre di ottenere dal padrone del campeggio l’indirizzo dell’amico “per spedirgli una cartolina”: una volta fatto questo, meditò a lungo su cosa scrivere e infine si decise per la punizione massima infieribile da parte di uno che sa a uno che non sa: una lettera rivelatrice sulla vera identità di Babbo Natale.
Dieci anni, aveva.
Da allora, in questo senso, nulla è cambiato, nonostante sia rimasto fregato anche lui, come tutti, da quella faccenda del crescere: oggi si trova sul lato sbagliato dei quaranta, guida un’utilitaria e un secondo prima di prendere lo svincolo si rende conto che andare a fare la spesa di sabato pomeriggio probabilmente si rivelerà, come già si è accennato, un’idea del cazzo.
Quando un presentimento lo azzecchi da tutta la vita, tendi a fidartici.
Il parcheggio del supermercato pare un raduno mondiale di formiche rincoglionite: a occhio, una buona metà delle signore occasionalmente alla guida dell’auto del marito tende a fingere che questa abbia le stesse dimensioni dell’utilitaria di casa, dilaniando fiancate metalliche al grido di: “L’altra volta ci sono passata!” e frantumando specchietti formato quindici pollici, come televisori gettati dalla finestra a capodanno.
Il signor Amado sperimentò nuovi e improbabili epiteti quando un’anziana signora alla guida di un’auto che sarebbe stata considerata vecchia anche da un superstite della grande guerra sbucò dal nulla infilandosi nell’unico posto disponibile in quell’orgia di nervosismo e clacson azionati a caso, sottraendolo ad Amado. Questa si esibì poi in uno svogliato cenno di scuse, alzando lo sguardo e le braccia verso il signor Amado per poi allontanarsi trascinando dietro di sé la gamba destra, come fosse un’appendice aggiuntale per errore, disegnando con i piedi punti e virgole immaginari sull’asfalto del parcheggio.
Le gomme della sua auto sembravano nuove.
Spesso alle persone non piace fare delle cose per il solo e unico motivo che quelle cose, semplicemente, non gli riescono bene. Al signor Amado succedeva, tra le altre, con la spesa: acquistava d’impulso, quasi a caso, districandosi tra labirinti di scatolame colorato, sbagliando continuamente il codice dei prodotti sulla bilancia del reparto frutta e scoprendone così altri dei quali aveva sempre ignorato l’esistenza, tipo le carrube.
Il supplizio settimanale terminava con un avvicinamento graduale alle casse, così da poterle tener d’occhio da lontano e catapultarcisi nel caso ve ne fosse una libera, o quantomeno con poca coda, mentre sistemava nel carrello qualche altra inutilità.
Fu mentre faceva rifornimento di barrette al cioccolato che si rese conto del fatto che la cassa numero quindici era libera. A volte basta un attimo: alzi lo sguardo e individui il nemico. Stessa distanza dalla cassa libera, carrello pieno: è lei, il nemico.
La vecchia del parcheggio. Quella troia.
Una ragazza li nota, si mette a metà strada e si improvvisa starter, dandogli il via. Partono. Il signor Amado spinge il carrello il più velocemente possibile verso la cassa lanciando epiteti poco simpatici alla vecchietta ma lei, come sospettava, ora non claudica più e gli lancia addosso i denti, mancandolo di poco. La dentiera si schianta a terra a meno di mezzo metro dalla gamba destra di Amado, che comincia a dare segni di instabilità psichica: “Gli anziani non servono a un cazzo!”, urla a squarciagola: “Frescheeefrsafi!!” risponde la vecchietta, che in mancanza della dentiera modifica improvvisamente il proprio idioma di riferimento da “italiano” ad “aramaico antico”. Repentinamente, poi, sposta il peso sul lato sinistro del carrello compiendo una virata di novanta gradi, fa leva sul tacco della scarpa e lo travolge franandogli addosso con la sua anca in titanio disarticolandogli una spalla, rubandoglii al cardiopalma il posto in cassa e urlandogli “Tefta di caffo!” che in aramaico antico deve significare qualcosa del tipo “testa di cazzo”, ma non ne sono sicuro.

Il signor Amado si mise in coda a un’altra cassa, rispettando pazientemente il proprio turno; la vecchietta sistemò la spesa sul carrello scorrevole, pagò e se ne uscì prima di lui, mostrandogli un dito della mano che vi lascio immaginare, sorridendo vittoriosa. Amado non reagì. Pensò che sarebbe stato bello conoscere l’indirizzo della vecchietta, ma valutò anche che lei, probabilmente, la faccenda di Babbo Natale già la sapeva.
Pensò che non aveva più dieci anni e in quel momento, all’improvviso, si sentì in colpa: se Babbo Natale fosse esistito veramente gli avrebbe chiesto un treno di gomme nuovo per l’auto della signora. Ma purtroppo, come il bambino di merda che stava per calpestargli inavvertitamente un piede avrebbe presto scoperto, quel ciccione del cazzo non esisteva.

 

 

Un valido motivo per non scrivere su appletini (in tre graziosi esempi)

 

Uno degli aspetti più complicati dello scrivere è scrivere. A quattordici anni, lo ricordo bene, produssi un racconto che narrava le avventure di un cammello con un problema di erezione permanente: gli uomini vedevano questa cosa come molto divertente mentre le cammelle, dal canto loro, avevano perso interesse abbastanza presto; lui stava malissimo, non tanto per lo scherno dei primi o l’indifferenza delle seconde, ma perché avere il cazzo duro per vent’anni è una tremenda fatica.
Per la cronaca, quel racconto è andato disperso, probabilmente nel grande tumulto del 2007, anno di traslochi.
Ma non è di questo che voglio parlare.
Uno degli aspetti più complicati dello scrivere è lo scrivere, dicevo: per questo volevo inventarmi qualcosa per giustificare il fatto di non aver aggiornato questo blog praticamente per tre mesi. Ho pensato a una delle scuse più gettonate: mi sono rotto un braccio, quindi non riuscivo. Quando una scusa è troppo banale, il procedimento  necessario a renderla credibile è molto semplice: è sufficiente accentuarla, aggiungere dinamiche particolari, situazioni assurde.
Paradossale, direte voi: be’, è proprio per questo che funziona.
Nessuno ti prenderà sul serio se giustifichi un ritardo o un’assenza con un: “Sono rimasto a piedi con l’auto”. Falla esplodere, questa cazzo di auto; fattela rubare da un gruppo di portoricani armati. La gente penserà che è una cosa troppo incredibile per essere falsa: non ha bisogno di inventarsi una cazzata del genere.
Taac, fottuti.
Da questa fondamentale premessa evincete che non mi sarei potuto limitare a dire che mi sono rotto un braccio o, peggio ancora, invischiarmi in banalità del tipo è successo mentre salivo le scale con le buste della spesa in mano. Dovevo fare il botto.
Così mi sono inventato le seguenti situazioni, ma alla fine non sapevo quale scegliere e allora esco allo scoperto, riportandovi tutte le opzioni prese in considerazione: sono certo che ci avreste creduto, comunque.

Ecco dunque come mi sarei rotto il braccio.

SITUAZIONE 1

– Bambino, lo vedi quel signore grosso grosso laggiù? Quello appena sceso dal macchinone? Ti do cinque euro se vai da lui e gli dici testa di cazzo.
– Cinque euro? Ok!
Signore… mi scusi, signore…
– Dimmi, bimbo.
– Quel tizio laggiù mi ha dato cinque euro per dirle testa di cazzo.

SITUAZIONE 2

– Mi perdoni padre perché ho peccato.
– Dimmi i tuoi peccati, figliolo, apri il tuo cuore al Signore.
– Mi masturbo quattordici volte al giorno.
– Hai detto quattordici, figliolo?
– Sì. Con punte di ventuno nel fine settimana. Barbara D’urso la domenica è micidiale.
– Da quanto tempo?
. Diciannove anni.
– Quindi sarebbero circa…
– Siamo intorno alle centomila seghe, sì. Che posso fare?
– Be’, devi pregare. Secondo il manuale delle penitenze dovremmo essere intorno alle, uhm… centomila X due Ave Maria l’una, diviso 3,14, moltiplicato per il coefficiente delta di incazzamento divino, direi che siamo intorno alle trecentoquattordicimila Ave Maria.
– Non c’è un’alternativa?
– Dio offre sempre un’alternativa: puoi fare braccio di ferro con Gesù. Se vinci, hai espiato.
– Andata.

SITUAZIONE 3

Secondo te, se mentre incrociamo un altro treno tiro fuori il braccio dal finestrino, riesco a toccarlo?

 

 

Il primo casting non si scorda mai

Oggi mi sono imbattuto in questa notizia:

Muggiò, tempo di “Christmas Factor”. Cercansi aspiranti Gesù bambino

“AAA cercasi Gesù Bambino. Sul sito del comune di Muggiò si guarda in alto, ma per un appuntamento decisamente terrestre. La “Notte in Giudea”, edizione 2013, che si svolgerà dal 13 al 15 dicembre, presso la corte di Palazzo Brusa, dalle 17.30 alle 21, prevede un Presepe Vivente a cui manca proprio il festeggiato: Gesù Bambino.

L’amministrazione si dice «alla ricerca di alcuni neonati, maschietti e femminucce, che possano alternarsi nella parte di Gesù Bambino, nell’arco delle tre giornate. Il luogo dedicato alla natività sarà al coperto, protetto ed accogliente. Pensando di aver fatto cosa gradita nel coinvolgere i piccoli cittadini muggioresi nella loro prima esperienza teatrale, si rimane in attesa di ricevere numerose adesioni».

Ai genitori dice maluccio: si offre il ruolo dei «pastori, posizionati nelle immediate vicinanze della culla del piccolo». Altroché Maria e San Giuseppe…

Per maggiori informazioni e per proposte inoltrare mail a culturaesport@comune.muggio.mb.it oppure telefonare allo 039|2709484/355″

(fonte: mbnews.it)

 

– Buongiorno, sono QuandoSiFaBuio, di appletini.it: chiamo per la parte di Gesù bambino.
– Ah, molto bene: avrei bisogno di sapere di quante settimane è suo figlio.
– …figlio?
– Sì, insomma, il neonato che vuole candidare.
– Forse non ci siamo capiti bene, signorina: io vorrei candidare me stesso.
– Lei è un neonato, signore?
– Lo ero: sono pronto a ripartire da zero.
– Non credo risulterebbe molto realistico, signore. E poi la culla è a misura di bambino.
– Faccio yoga.
– Credo di non poterla aiutare, signore, davvero: la selezione è riservata ai neon…
– “In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.”
– Cos’è sta roba?
– Matteo 18,1-11. Se non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli. Lei, signorina, mi sta dicendo che si addosserebbe la responsabilità di non farmi entrare in paradiso?
– Credo che le parole dei testi sacri non vadano intese in senso letterale, signore: vanno interpretate.
– Be’? È quello che ho fatto.
– No, signore: non è un’interpretazione libera. È un’interpretazione data dalla santa Chiesa.
– Lei sa come continua quel passaggio del vangelo di Matteo?
– Ehm… no.
– “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!”
– Cosa sta cercando di dirmi?
– Lei sa che hanno scoperto più volte dei preti che inculano i bambini, signorina?
– Ehm… sì.
– E non le pare un po’ ardito che l’interpretazione in questo caso sia: “nel peggiore dei casi, se inculi i bambini, ti estromettiamo dalla chiesa cattolica?” A me non pare proprio che la si possa intendere così. Dove cazzo è finita la macina girata dall’asino? E gli abissi del mare?
– Ok, senta: se proprio ci tiene, girerò la sua candidatura a chi di dovere, ma non le prometto niente. Senta, lei è allergico a qualche animale?
– Allergico no, ma ho dei 
grossi problemi con i pinguini: non ci saranno pinguini, vero?
– Solo un bue e un asinello, signore.
– Non se ne parla nemmeno: io voglio i due liocorni.
– Nei vangeli non si parla di liocorni, signore.
– Se è per questo, non si parla nemmeno del bue e dell’asinello, in nessun punto: persino il Papa lo ha dovuto ammettere, alla fine. Mi sono documentato, e ho trovato pure 
questo articolo in cui un teologo risponde alla questione bue e asinello affermando, tra le altre cose, che “Il bue e l’asino, pur non essendo presenti nel racconto evangelico, ci stanno proprio bene nel presepe.” Quindi, di che cazzo stiamo parlando? Sia ben chiaro che, se diventerò Gesù bambino, le cose qui dovranno cambiare. Intanto, niente pinguini. I liocorni li recupero io.
– Li recupera lei? E posso chiederle dove ha intenzione di trovarli?
– Non c’è nulla che non si possa trovare su qualche sito cinese, signorina.
– Senta, faccia un po’ come le pare. Altro da contestare?
– I Magi: mi spiega che cazzo è 
questa roba? E soprattutto la data: non sta scritto da nessuna parte che Gesù sia nato il 25 dicembre, ok? Era la data della festa del Dio Sole: l’hanno solamente copiata. Ora, mi spiega che cazzo di interpretazione sarebbe inventarsi una data prendendola da una festa pagana? Eh? Se verrò eletto Gesù, il Natale lo facciamo ad agosto: lo attacchiamo al ferragosto, così si fa il ponte.
– Sa che questa cosa comincia a piacermi, signor QuandoSiFaBuio?
– La ringrazio, signorina… signorina?
– Maddalena. Maria Maddalena.

Mi sa che stasera si ciula.